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Il concerto irripetibile dei Muse all’Alcatraz di Milano

Il racconto dello show portato in scena ieri sera da Matt Bellamy e compagni
Il concerto irripetibile dei Muse all’Alcatraz di Milano

I Muse sono tra le poche band al mondo dalle quali ci si può aspettare qualunque cosa. Lo strapotere economico conquistato in due decenni ai vertici del music business gli permette anche di fare un mini-tour, tra Stati Uniti ed Europa, di sole otto date nei club. Una cosa impensabile per un gruppo che manda sold out interi stadi in tutto il mondo. Pensateci: pur vendendo i biglietti a quasi cento euro, suonando in venue dalla capienza di massimo di tremila persone, l’incasso totale non copre neanche la metà del loro cachet medio. In un periodo in cui molti artisti si stanno ritrovando costretti a rinunciare a intere leg dei loro tour mondiali, perché insostenibili dal punto di vista finanziario, i Muse decidono di organizzarne uno impossibile. Per nostra fortuna, l’Italia è tra i pochi eletti e ha il piacere di ospitarli all’Alcatraz di Milano, che per l’occasione diventa il “place to be” per le centinaia di migliaia di fan italiani.

La prima domanda che è sorta spontanea è: perché lo fanno? Di sicuro non devono né vogliono dimostrare nulla a nessuno e sarebbe folle il contrario. Perché va bene la retorica della band-algoritmo e del “sono finiti dopo Absolution” (per qualcuno anche prima), va bene la critica sui concept e sulla forma che divora il contenuto, ma stiamo parlando di un progetto musicale di proporzioni titaniche, che ha contribuito a plasmare il rock alternativo del Terzo Millennio e ridefinito gli standard per l’intrattenimento dal vivo. E questo, almeno questo, non si dovrebbe discutere.

Quindi, perché lo fanno? Non è così necessario fornire una risposta a questa domanda, ma  a vederli calcare il palco dell’Alcatraz sembra che si divertano, sul serio. E allora usiamo il cosiddetto principio del "Rasoio di Occam”, secondo cui la soluzione più semplice è anche la più plausibile. Un po’ come membro di un famiglia reale, che dismette gli abiti di corte e si infiltra tra i sudditi del reame per provare un po’ di vita vera, quella invisibile dalle lussureggianti stanze del palazzo, i Muse si allontanano per un momento dai grandi palchi e dalle loro mastodontiche produzioni live per riassaporare il gusto di un palco spoglio, dove gli strumenti, la musica e la bolgia di persone che urlano, saltano e pogano tra quattro pareti diventano l’unico vero spettacolo.

Ma senza il supporto della scenografia, di fiamme, luci, laser, pupazzi gonfiabili o meccanici, ballerini, attori, coriandoli, fuochi d’artificio e tutto il resto dell’arsenale…Cosa resta? Resta una grande band. Di quelle che - per un mix di talento ed esperienza -  suonano poche altre al mondo. E questo, forse, viene troppo spesso dato per scontato. Immaginiamo infatti di cambiare il nome dei musicisti su quel palco, di vederli per la prima volta e che, in un exploit, questo sia il loro primo sold out in un club italiano. Ecco: oggi le quasi tremila persone che hanno comprato il biglietto si starebbero consumando i polpastrelli per raccontare la serata agli amici, in un abuso di aggettivi superlativi.

Tutto meraviglioso, quindi? No, non esattamente. Nella trionfale melodia che accompagna questa stravagante operazione una nota stonata c’è. Perché,  a conti fatti e scaletta alla mano, si tratta di un set non tanto distante da quello presentato nel tour estivo conclusosi da poco e, probabilmente, neanche da quello che verrà proposto nel prossimo giro degli stadi. Una versione ridotta, per di più, dato che lo show ha una durata di un’ora e mezza. Le chicche della serata sono “New Born” e “Plug In Baby”, forse i due pezzi più amati di “Origin of Symmetry”, “The Gallery”, da “Hullabaloo Soundtrack”, oltre ad “Assassin” e “Map of the Problematique”, quest’ultima arricchita dal riff di “Duality” degli Slipknot nell’outro. Ma sono tutti brani già eseguiti nei festival pochi mesi fa, quindi nessuna vera sorpresa. Il resto della serata è affidato al nuovo album, “Will of the People” (leggi qui la nostra recensione), che resta quindi il protagonista assoluto anche di questo tour estemporaneo e conferma il reale valore del nuovo materiale, che in sede live regala qualche lampo d’entusiasmo in più del previsto.

Sa di occasione mancata, perché se Matt e soci avessero deciso anche di comporre una scaletta unica, speciale, fuori dal tempo o fuori dai canoni (ad esempio, perché non suonare pezzi più vecchi o mai eseguiti prima?), probabilmente ora sarebbe lecito parlare dell’evento live più rilevante dell’anno. Resta comunque la sua unicità, perché diciamocelo: probabilmente non capiterà mai più di vedere i Muse in un posto come l’Alcatraz. E, invertendo il paradigma, l’Alcatraz probabilmente non vedrà mai più una band che suona così.

SETLIST

Will of the People
Assassin
New Born
Won't Stand Down
We Are Fucking Fucked
Plug In Baby
The Gallery
Compliance
Map of the Problematique
Liberation
Minimum
You Make Me Feel Like It's Halloween
Supermassive Black Hole
Prelude
Starlight

BIS #1

Kill or Be Killed
Knights of Cydonia

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